IN OCCASIONE DELLA DIVINA APPARIZIONE DI ŚRĪLA RĀMĀNUJĀCĀRYA

DI ŚRĪ ŚRĪMAD BHAKTI VIJÑĀNA BHĀRATĪ GOSVĀMĪ MAHĀRĀJA

Oggi, 2 aprile 2025, ricorre il giorno della divina apparizione di Śrīla Rāmānujācārya. Di seguito, in onore a questo tithi, pubblichiamo un estratto di un bhāva anuvāda della kathā data da Śrīla Bhakti Vijñāna Bhāratī Gosvāmī Mahārāja nei giorni della scomparsa di Śrī Rāmānujācārya del 6 febbraio 2017 e del 9 febbraio 2014.

NASCITA E PRIMI PASSATEMPI

Rāmānujācārya nacque nel 1017 d.C., il 12 ° giorno di Caitra (marzo-aprile), in pañcamī tithi. Suo padre era Asurī Sarvakṛtu Keśava Deśika e sua madre era Kāntimatī Devī. Suo padre Sarvakṛtu era esperto nell'esecuzione di tutti i vari yajña; eseguì uno yajña nel tempio Pārthasārathi situato a Chennai con il desiderio di avere un figlio e di conseguenza Rāmānuja nacque. Nato nello stesso tithi del Signore Lakṣmaṇa, fu chiamato Lakṣmaṇa Deśika. Successivamente ricevette il nome Rāmānuja.

Il luogo di nascita di Rāmānuja è Śrīperambudur, nel Tamil Nadu, a soli 32 chilometri da Kāncipuram. Suo padre lasciò questo mondo quando lui era ancora un bambino e fu sposato in tenera età. Sua madre lo mandò a studiare sotto la guida di Yādava Prakāśa, un predicatore della filosofia Advaita Vedānta [Rāmānuja e il suo guru erano spesso in disaccordo nell'interpretazione dei testi vedici.]

Una volta mentre Rāmānuja stava facendo un massaggio con olio a Yādava Prakāśa, lui iniziò a spiegare il significato di un passaggio particolare della Candogya Upaniṣad: tasya yatha kapyasam puṇḍarikam eva akṣini. Yādava Prakāśa interpretò la parola "kapyasam", come “gli occhi di loto del Signore sono rossi proprio come il posteriore di una scimmia”. Non appena Rāmānuja sentì questo iniziò a piangere e le lacrime caddero sul corpo di Yādava Prakāśa. Yādava Prakāśa chiese: "Lakṣmaṇa, hai ricevuto qualche notizia infausta da casa tua? Qual è la ragione del tuo pianto?" Rāmānuja affermò: "La tua interpretazione blasfema è la causa del mio pianto." Yādava Prakāśa chiese: "Cosa c'era di così volgare nella mia interpretazione?" Allora Rāmānuja disse: "L'interpretazione della parola kapyasam potrebbe anche essere "kam pibati iti kapi" - riferendosi al sole che evapora l'umidità. Proprio come il sole che sorge è rosso, così lo sono gli occhi di loto del Signore." Yādava Prakāśa disse: "In effetti, il tuo significato è corretto, così come il mio. Ma ho fatto riferimento al significato "abhidā" (diretto o letterale) del termine mentre il tuo riferimento era al significato "lakṣaṇa" (simbolico o metaforico) del termine." Sebbene esternamente Yādava Prakāśa minimizzò la situazione, internamente rifletté: "Questo ragazzo è davvero molto acuto. In futuro metterà alla prova le mie interpretazioni." Da allora, divenne diffidente nei confronti di Rāmānuja e, alla fine, decise di eliminarlo in qualche modo. Così, Yādava Prakāśa e suo figlio cospirarono.

IN FUGA DA UN COMPLOTTO OMICIDA ORDITO DAL SUO GURU

Passarono dei giorni, e Yādava Prakāśa fece un annuncio a tutti i suoi discepoli: “Ci vogliono tre mesi per studiare analiticamente il Vedānta e così partiremo per Kāśī. I candidati interessati dovrebbero prepararsi alla partenza. Ritorneremo dopo tre mesi."

Rāmānuja chiese a sua madre che disse: "Non c'è bisogno di andare." Tuttavia sua zia, Diptimatī Devī, si avvicinò a sua madre e disse: "Cara sorella, devi tollerare la separazione da tuo figlio per il suo progresso. Manderò anche mio figlio Govinda a Kāśī." Quindi Kāntimatī Devī diede il suo consenso. Govinda e Rāmānuja insieme agli altri studenti partirono per Kāśī. Dopo aver raggiunto la foresta di Vṛndācala, che era molto fitta e bella, si accamparono per la notte vicino a una sorgente di acqua dolce.

Rāmānuja si svegliò la mattina seguente e andò a fare il bagno. Al suo ritorno, Govinda gli rivelò: "Oggi potrebbe essere l'ultimo giorno della tua vita, perché c’è una cospirazione per eliminarti. Quindi, se desideri vivere più a lungo, devi scappare." Rāmānuja afferrò i suoi vestiti bagnati e fuggì immediatamente da quel luogo. Tuttavia si trovava in una fitta foresta sconfinata e il sole stava per tramontare.

Sopraffatto da una sete intensa, Rāmānuja pensò: "Non c'è modo di continuare a fuggire e presto le bestie selvatiche mi divoreranno." In quel momento notò un cacciatore e sua moglie seduti sotto un albero. Si avvicinò a loro e chiese: "Dove state andando?" Risposero: "Kāncipuram". Rāmānuja li supplicò di accompagnarlo e loro accettarono. La moglie di quel cacciatore, rendendosi conto che Rāmānuja aveva sete, chiese a suo marito di dargli dell'acqua da bere. Il cacciatore chiese: "Vuoi acqua?" Rāmānuja pensò: "Come posso bere la sua acqua? Sono un brāhmaṇa e questa persona è un cacciatore. Pertanto, non dovrei accettare l'acqua da lui."

Rāmānuja ricordò come una volta una persona di una casta superiore aveva accettato l'urad dahl da un mahout (una persona che si occupa di un elefante), solo per salvarsi la vita. Più tardi, dopo che il mahout aveva pulito a fondo il suo contenitore per bere, gli offrì dell'acqua, ma lui aveva rifiutato: "Non posso accettare l'acqua da te." Sconcertato, il mahout dal cuore semplice, gli fece notare, "Anche l'urad dahl è stato cucinato con la stessa acqua." "Vero,” gli rispose. “Tuttavia, ho accettato la tua offerta solo per salvarmi la vita. Quindi, ora che la mia vita è stata salvata, non ho più bisogno di acqua.”

Seguendo questo precedente, Rāmānuja accettò tre volte una palma piena d'acqua. Dopo aver bevuto, si sentì assonnato, quindi si sdraiò a breve distanza dal cacciatore e da sua moglie. Quando si svegliò la mattina dopo, vide un colossale baniano accanto a un bouri (un grande pozzo in cui si preleva l'acqua scendendo delle scale, invece di usare una puleggia, e che viene anche usato per nuotare). Rāmānuja cominciò a chiedersi: "Dove sono?" Dopo aver chiesto a dei passanti del luogo, gli risposero, "Questa è una foresta". "C'è qualche insediamento nelle vicinanze?", chiese ulteriormente. Dissero: "Sì, Kāncipuram è nelle vicinanze" Così si diresse verso Kāncipuram e, al suo arrivo, fece il bagno nel Vaikuṇṭha Sarovara (lago). Dopo il bagno, mentre meditava sul suo adorabile Signore, Sri Lakṣmī-Nārāyaṇa, si rese conto che il cacciatore e sua moglie non erano altri che Loro.

Da lì proseguì per Śrīperambudur. Quando raggiunse la sua residenza, sua zia, che era anche presente, chiese: "Il tempo di studio doveva essere di tre mesi, quindi cosa ti ha fatto tornare così in fretta, prima di tutti gli altri?" Allora Rāmānuja riferì loro tutto ciò che riguardava la cospirazione tramata contro di lui ma chiese di non farne parola.

LIBERARE UN FANTASMA

Quando Yādava Prakāśa tornò, trovò Rāmānuja a casa. Poiché il suo piano di uccidere Rāmānuja era apparentemente ancora sconosciuto, mandò con fiducia un inviato chiedendo a Rāmānuja di riprendere gli studi. In un'altra occasione Yādava Prakāśa stava dando la sua interpretazione sul Māhāvākya delle Upanishad, "satyam jñānam anantam brahma" - "Tutto è Brahma, non c'è altro che Brahma. Anche Jīva è Brahma," e così via. Rāmānuja contestò nuovamente l'affermazione di Yādava Prakāśa, affermando "satyam, jñānam e anantam sono in realtà aggettivi attribuiti al Signore. Il Signore è dotato della qualità della verità suprema, dell'intelligenza e dell'infinito." Nuovamente Yādava Prakāśa pensò a quanto grave fosse la minaccia che Rāmānuja rappresentava per la sua reputazione, e ritornò all'idea di finirlo.

Un giorno, un re della dinastia Chola inviò un palanchino per Yādava Prakāśa chiedendogli di andare a esorcizzare un fantasma che possedeva sua figlia. Yādava Prakāśa chiese a Rāmānuja di accompagnarlo, come scusa per ostentare la sua reputazione di grande tāntrika. Una volta arrivati al palazzo, Yādava Prakāśa iniziò a cantare i mantra, tuttavia il fantasma che possedeva la principessa lo ridicolizzò ridendo di lui, "I tuoi sforzi saranno inutili. Non perdere tempo qui." Infuriato, Yādava Prakāśa gridò: "Come osi!" Allora il fantasma disse: "Lascerò il corpo della principessa solo se il tuo discepolo Rāmānuja le mette entrambi i piedi in testa." Non vedendo altra alternativa, Yādava Prakāśa chiese alla fine a Rāmānuja di onorare la richiesta del fantasma. Non appena Rāmānuja mise i piedi in testa alla principessa, lei svenne e il fantasma la lasciò. Dopo questo incidente, l'invidia di Yādava Prakāśa nei confronti di Rāmānuja aumentò esponenzialmente. Era preoccupato: “Non diventerò mai famoso ma attirerò solo l'infamia! La ragazza è stata liberata dal semplice tocco dei piedi di Rāmānuja sulla sua testa, mentre io non sono riuscito a liberarla nemmeno cantando potenti mantra.” A causa del suo crescente disprezzo, Yādava Prakāśa chiese a Rāmānuja di abbandonare la sua compagnia.

LASCIARE CASA

Dopo essersi separato da Yādava Prakāśa, Rāmānuja incontrò Kāncipūrṇa, un discepolo di Yamunācārya. Kāncipūrṇa si rivolse a Rāmānuja come "ācārya" perché, in considerazione della nascita, nacque in una casta inferiore. Rāmānuja visitava quotidianamente il tempio di Varadarāja a Kāncipuram e lì trovò Kāncipūrṇa che leggeva ogni giorno l’Alabandaru Stotra. Un giorno Rāmānuja invitò Kāncipūrṇa a casa sua per mangiare. Nel linguaggio Vaiṣṇava, un Vaiṣṇava non dice: "Per favore, vieni e prendi prasāda", ma dice: "Per favore, vieni a dare prasāda." Perché solo quando un ospite di un Vaiṣṇava viene e accetta il cibo, questo diventerà prasāda. Quindi Rāmānuja chiese a Kāncipūrṇa di venire e dargli prasada.

Kāncipūrṇa si stava recando ad onorare l'invito, quando Rāmānuja uscì di casa per riceverlo. Tuttavia, poiché Kāncipūrṇa aveva preso un'altra strada, non s’incontrarono. Una volta che Kāncipūrṇa arrivò alla residenza di Rāmānuja, spiegò alla moglie di Rāmānuja che l’ācārya l'aveva invitato ma era anche a corto di tempo, poiché doveva compiere stuti pātha sevā (glorificazioni del Signore con inni e preghiere selezionate) nel tempio di Varadarāja. Pertanto chiese, "Se il prasāda è pronto ora, per favore permettimi di onorarlo." Allora la moglie di Ramanuja offrì a Kāncipūrṇa il prasada su un piatto di foglie. Al termine del pasto lei gettò immediatamente quel piatto e purificò con cura la casa con sterco di mucca, pensando al fatto che una persona di una casta inferiore aveva preso cibo nella casa di un brāhmaṇa. Dopo che Kāncipūrṇa se ne fu andato, la moglie di Rāmānuja fece un bagno per purificarsi e ricominciò a cucinare con i vestiti bagnati. Gettò gli avanzi considerandoli i resti di un śūdra e lavò di nuovo accuratamente tutti i recipienti. Quando Rāmānuja arrivò, chiese: "Ho invitato Kāncipūrṇa e ancora non hai cucinato? E se arrivasse adesso? Mi sentirei così imbarazzato!" Sua moglie rispose: "È già venuto, ha onorato prasada e se ne è andato." Rāmānuja fu molto abbattuto. Pensò: "Volevo prendere i suoi resti mahāprasāda, ma mia moglie ha gettato via il piatto di foglia e ora ha pulito il posto con sterco di mucca."

In un'altra occasione, un sādhu partì per un viaggio per un posto distante 3 kosa (1 kosa è di 3,5 Km) in una zona desolata dove non c’erano altri villaggi in cui si erano sentite le glorie dell'atithi-sevā di Rāmānuja (il suo onorare gli ospiti), e quindi decise di fargli visita. La moglie di Rāmānuja, tuttavia, respinse quel sādhu e si rifiutò di dargli da mangiare. Dopo aver lasciato la casa di Rāmānuja, lo incontrò sul sentiero. Rāmānuja gli chiese da dove era partito e lui disse: "Avevo sentito il nome dell’ācārya, e così ho chiesto alla gente del posto e sono andato a casa sua, ma lui non era presente e sua moglie non mi ha dato nulla." Rāmānuja fu estremamente angosciato nel sentirlo. Così, scrisse una lettera a sua moglie fingendosi suo padre, informandola di tornare immediatamente a casa perché sua sorella minore si stava per sposare e sua madre non si poteva far carico da sola di tutto quello che era necessario fare; per favore, informa l’Ācārya e torna a casa in fretta. Quindi Rāmānuja chiese a quella stessa persona, a cui era stata precedentemente negata l'ospitalità, di tornare a casa sua e di consegnare questo messaggio a sua moglie. Questa volta, quando la moglie di Rāmānuja si rese conto che era un messaggero inviato da suo padre, lo trattò con grande rispetto, lo nutrì e gli mostrò grande ospitalità. Più tardi presentò la stessa lettera a Rāmānuja, che organizzò prontamente un baule e lo riempì di tutti i suoi gioielli e vestiti. Quindi mandò due uomini e una donna ad accompagnare sua moglie a casa di suo padre.

La moglie non lesse nemmeno la lettera. Il solo sentire che quella persona era arrivata con un messaggio da suo padre, fece sì che lei lo trattasse con affetto. Rāmānuja le lesse ad alta voce la lettera (che lui stesso aveva redatto). Quando lei chiese perché fossero stati preparati così tanti vestiti, Rāmānuja le disse: "Perché dovresti perdere tempo a lavare i panni lì? Puoi portare qui i vestiti usati da far lavare ai servitori." Alla domanda sul perché fossero necessari così tanti gioielli, Rāmānuja le rispose, "Se prendi solo i gioielli che ti ho dato, la gente sospetterebbe che io abbia venduto i gioielli che tuo padre ti ha offerto, mentre se tu dovessi prendere solo quei gioielli che ti ha dato tuo padre, allora la gente penserebbe che i tuoi suoceri non ti hanno dato alcun gioiello. Quindi prendili tutti e vai." La persona che gli aveva portato la lettera l'accompagnò, e una volta arrivati vicino alla casa di suo padre, quel sàdhu, ricevuto il permesso, se ne andò. Appena sua moglie partì per la casa dei suoi genitori, Rāmānuja lasciò la casa.

Srila Prabhupāda accettò così tanti insegnamenti da Rāmānujācārya. Sebbene Rāmānujācārya fosse nato in una famiglia di brāhmaṇa, aveva così tanto rispetto per i Vaiṣṇava. Ha sempre accettato i Vaiṣṇava come adorabili al di là della loro casta, credo o designazioni corporali.

DĪKṢĀ E SANNYĀSA

Dopo aver lasciato casa, accettò dīkṣā da Goṣṭīpūrṇa. Successivamente chiese a Kāncipūrṇa: "Chi ha composto questo Alabandaru stotra?" "Yamunācārya", rispose Kāncipūrṇa. Yamunācārya ebbe quattro importanti discepoli: Śailapūrṇa, Goṣṭīpūrṇa, Māhāpūrṇa e Kāncipūrṇa. Śailapūrṇa era lo zio di Rāmānuja (fratello della madre), e fu lui che portò Rāmānuja da Yamunācārya. Quando raggiunsero Śrīraṅga-kṣetra, Yamunācārya aveva già lasciato il corpo. Tuttavia fu notato che tre delle dita di Yamunācārya erano curiosamente piegate.

Rāmānuja chiese se quelle dita erano precedentemente in quella posizione e gli fu risposto di no. Rāmānuja capì subito che alcuni desideri di questo mahāpuruṣa non erano ancora stati realizzati. Quindi pronunciò questi tre voti:

1) scriverò un commentario sul Vedānta Sutra (in seguito noto come Srī Bhāṣya);

2) libererò le anime cadute dando loro l’harināma;

3) predicherò in tutta l'India e stabilirò i bhakti śāstra.

Mentre pronunciava ciascuno di questi tre voti, una dopo l’altra le tre dita di Yamunācārya si aprirono in sequenza.

Quindi la gente propose: "Sei arrivato da così lontano, dovresti prendere il darśana di Srī Raṅganātha." Rāmānuja rispose: "No, non vedrò quel crudele Signore. Non mi ha permesso di avere il darśana del mio Guru; niente può succedere senza il Suo desiderio. Quindi non lo vedrò neanche io. Quindi accettò il sannyasa di fronte al ritratto di Yamunācārya. E’ per questo motivo che la gente lo considera discepolo di Yamunācārya, perché nāma, vigraha e svarūpa sono uno e lo stesso. E ottenne il nome Rāmānuja. Yamunācārya lasciò il corpo prima che Rāmānuja potesse incontrarlo di persona. Ma nonostante ciò, Rāmānuja capì le istruzioni del suo guru. Quale lezione apprendiamo da questo? Che Guru si rivela a una persona che si è arresa.

DIGIUNO SENZA IL DARŚANA DEL SIGNORE

Una volta, mentre Rāmānuja era a Purī, trovò una discrepanza con uno dei sevaka del Signore Jagannātha. Così, quella stessa notte, il Signore Jagannātha, lo trasportò a Kūrma-kṣetra in un palanchino. Tuttavia, non vedendo alcuna divinità di Viṣṇu lì, digiunò per 3 giorni, pensando: "Come posso accettare prasāda senza poter avere il darśana di Viṣṇu?" A quel tempo, Kūrma, che era coperto di pasta di sandalo (è una regola nell'India meridionale che la divinità venga coperta di pasta di sandalo), fu scambiato da Rāmānuja per un Śiva-liṅga, e per questo motivo non accettò alcun prasāda. Alla fine, il Signore gli rivelò: "Non sono uno Śiva-liṅga, sono Kūrma!" Allora Rāmānuja adorò con gioia il Signore e onorò il prasāda.

KŪREŚA - UN SAD-ŚIṢYA

Nel corso del tempo, Rāmānuja iniziò ad attirare molti discepoli concedendo dīkṣā a centinaia di loro. A quel tempo, solo i brāhmaṇa venivano accettati come discepoli, ma Rāmānuja dava l’iniziazione a tutti, indipendentemente dalla casta di provenienza.

Rāmānuja sosteneva: "È meglio essere consumati da una tigre piuttosto che visitare un tempio del Signore Siva. [Il sentimento di adorare Śiva, considerandolo come Supremo, anche più in alto di Viṣṇu o Nārāyaṇa, è rifiutato qui da Rāmānuja. I Vaiṣṇava adorano il Signore Śiva come il Vaiṣṇava più importante, il più grande devoto del Signore. Tale adorazione del Signore Śiva non è vietata.]

C'era un discepolo di Rāmānuja di nome Kūreśa. Quando gli Sivaiti osservarono che molti altri Sivaiti si stavano convertendo al Vaiṣṇavismo, pensarono che Rāmānuja li stava rovinando tutti, quindi il re Chola, che era anche lui uno Sivaita, invitò Rāmānuja nel suo palazzo per un dibattito. Capendo che la vita del suo guru era in pericolo, Kūreśa chiese a Rāmānuja di vestirsi in modo ordinario, di andare a Śrirangapatnam e al suo posto andò al palazzo del re.

Quando arrivò Kūreśa, il re Chola gli chiese: "Credi che non ci sia altra verità suprema oltre Śiva (śivāt parataro nāsti)?" Kūreśa rispose: "Sì, c'è (asti). Droṇam asti tatah param (Droṇa, un’unità di calcolo, è più grande di Śiva)."

Questa affermazione fece infuriare il re Chola, che ordinò ai suoi uomini di uccidere Kūreśa, [che supponeva fosse Rāmānuja]. Ma ricordandosi che Rāmānuja in precedenza aveva salvato sua figlia, gli risparmiò la vita ma ordinò ai suoi uomini di strappargli gli occhi con cui aveva letto gli śāstra. Quindi fu rimandato a Raṅga-kṣetra (Śrīraṅgam), dove fu lasciato per mantenersi elemosinando per il resto della sua vita. Quando Rāmānuja lo venne a sapere, ordinò a Kūreśa di andare dal Signore Varadarāja a chiedere una benedizione. Kūreśa andò a Varadarāja e chiese che non accadesse nulla di sfavorevole al re Chola e a tutti i cittadini del suo paese, che erano in colpa per non essersi opposti al re. Al suo ritorno, Rāmānuja lo rimandò indietro dicendogli: "Non hai chiesto niente per me! Ti prego, ho ancora bisogno di te per il servizio." Quindi, per la misericordia del Signore Varadarāja, Kūreśa riottenne gli occhi.

Kūreśa aveva una memoria fotografica. Una volta accompagnò Rāmānuja in Kashmir, dove visitarono un tempio di Vaiṣṇodevī, a Sakti Pīṭha. La biblioteca conteneva il Bodhāyana Vṛttī. Quando Kūreśa chiese se poteva leggere il vṛttī, la risposta fu: "No, i vermi lo hanno mangiato." Ma Sarasvatī Devī portò il libro a Rāmānuja. Quando gli uomini del posto scoprirono che Rāmānuja e Kūreśa erano in possesso di quel libro, andarono a confiscarglielo. Dopo aver perso il libro, Rāmānuja si scoraggiò. Ma Kūreśa lo aveva letto giorno e notte fino a memorizzarlo completamente e lo riprodusse esattamente com’era offrendolo a Rāmānuja. Sulla base di questo Bodhāyana Vṛttī, Rāmānuja scrisse il suo Śrī Bhāṣya, il suo commentario sul Vedānta Sutra.

IL GURU DIVENTA DISCEPOLO

Yādava Prakāśa, l'ex precettore di Rāmānuja che una volta aveva pianificato di ucciderlo, alla fine accettò l'iniziazione da Rāmānuja seguendo le istruzioni di sua madre che in sogno gli aveva profetizzato delle avversità che gli sarebbero accadute se non avesse accettato Rāmānuja come suo Guru. Così facendo avrebbe avuto salva la vita.

"HO VENDUTO ME STESSA PER IL GURU-SEVA"

Rāmānuja aveva un discepolo di nome Varadarāja e il nome di sua moglie era Lakṣmī. Nella stessa città di questo discepolo viveva anche un altro discepolo benestante di Rāmānuja, di nome Yogesh. Una volta, mentre Rāmānuja stava visitando quella città, non andò da Yogesh, ma da Varadarāja. Varadarāja si manteneva chiedendo l'elemosina e servendo il Signore. Quando Rāmānuja andò a casa sua, la moglie di Varadarāja, Lakṣmī, non uscì per salutare il suo Guru. Rāmānuja capì che ciò era dovuto al fatto che non aveva nemmeno dei vestiti adeguati per coprirsi. Così Rāmānuja le lanciò due suoi lenzuoli che lei usò per coprirsi uscendo per offrirgli lodi.

Lakṣmī era molto bella e un uomo d'affari locale era attratto dalla sua bellezza. Rendendosi conto che in casa non aveva niente per servire il suo guru e gli altri che lo accompagnavano, andò da quell'uomo d'affari e gli chiese alcuni oggetti per la sua casa. Lakṣmī promise: "Prima renderò sevā al mio guru e poi esaudirò il tuo desiderio." L'uomo d'affari ne fu molto felice e mandò più di quello che lei aveva chiesto. Usando queste risorse, Lakṣmī servì molto bene il suo guru e tutti i suoi discepoli. Quando Varadarāja tornò a casa dal chiedere l’elemosina, vide che il suo guru era già arrivato con così tanti discepoli. Chiese a sua moglie come aveva fatto ad organizzare il tutto visto che lui non era stato in grado di raccogliere niente quel giorno. Gli disse: "Prima onora prasāda, poi ti spiegherò", ma Varadarāja insistette. Lakṣmī disse: "Spesso dici che dovremmo rendere guru seva anche sacrificando tutta la nostra ricchezza. Io sono la tua proprietà. Così oggi mi sono venduta per rendere guru sevā." Quando Rāmānuja si rese conto di ciò che era accaduto, ordinò a Varadarāja e a Lakṣmī di andare e offrire all'uomo d'affari alcuni dei suoi resti mahāprasāda. Come prevedibile, dopo che l'uomo d'affari li onorò, il suo cuore cambiò completamente, tanto che offrì i suoi daṇḍavat praṇāma a Lakṣmī. Ma lei gli disse: "Questa non è la mia gloria, è la gloria del mio Gurudeva." Sconvolto, l'uomo d'affari divenne discepolo di Rāmānuja e lo servì per tutta la vita. Da questo incidente possiamo comprendere la grandezza di Rāmānuja.

"POSSO ANDARE ALL'INFERNO PER SERVIRE IL MIO GURU"

Una volta mentre Rāmānuja stava trascorrendo quattro mesi presso l’āśrama di Śailapūrṇa, notò che il servitore di Sailapūrṇa, Govinda, si sdraiava rotolandosi nel letto del suo Gurudeva, dopo che il letto era già stato preparato. Incapace di capire questa condotta, e considerando Govinda un ipocrita, Rāmānuja lo avvertì: "Dovrai andare all'inferno se non rispetti il tuo guru. Ti stai girando nel letto del tuo guru. Che tipo di discepolo sei?" Śailapūrṇa lo ascoltò e si rese conto che Rāmānuja non capiva il cuore di Govinda. Per risolvere il malinteso, convocò Govinda e chiese: "Stai sdraiato nel mio letto e ti rotoli in esso?" Govinda disse: "Sì Gurujī". Śailapūrṇa chiese: "Non sai che solo attraversando l'ombra del proprio maestro spirituale [per non parlare di giacere nel suo letto], si va all'inferno?" Govinda disse: "Sì, me lo hai fatto capire molto tempo fa." Allora Śailapūrṇa chiese: "Allora, hai così tanto interesse ad andare all'inferno?" Govinda rispose: "Non mi dispiace andare all'inferno. Faccio questo per esaminare a fondo il letto per assicurarmi che non ci siano punti ruvidi, nodosi o altri elementi sul letto che potrebbero disturbare il tuo sonno. Non importa se per questo devo andare all'inferno."

Rāmānuja fu felice di ascoltare questa spiegazione.

Jay! Śrīla Rāmānujācārya Ki-jay!!

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Tradotto dal team di Bhaktiyoga.it